IL TRIBUNALE Letti gli atti del procedimento penale suindicato, pendente nei confronti di Sbaoui Nadia, nata il 13 agosto 1970 a Casablanca (Marocco), e Fiorelli Graziano, nato il 29 settembre 1937 a Fossombrone, imputati per il «reato di cui agli artt. 110, c.p. e 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997, per avere in concorso tra loro, Sbaoui Nadia in qualita' di titolare della omonima ditta individuale, Fiorelli Graziano in qualita' di rappresentante dell'intermediario finanziario "Finint S.p.a.", esercitato per il periodo dal 7 luglio 2003 al 7 agosto 2003 l'esercizio abusivo di attivita' finanziaria trasferendo denaro per euro 16.488,39 e ricevendo denaro per euro 1.925,01; in Novara dal 7 luglio 2003 al 7 agosto 2003». Viste le eccezioni di illegittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997 in relazione all'art. 25, secondo comma Cost., nonche' in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. ed all'art. 15, comma 1, lett. c), legge n. 52/1996, sollevate da entrambe le difese degli imputati sotto due diversi profili: lamentata violazione del principio di legalita' di cui all'art. 25, secondo comma Cost., posto che al momento dell'emanazione della delega stessa la normativa di riferimento, d.l. n. 143/1991, non avrebbe contenuto alcuna disposizione che prevedesse quale fattispecie di reato l'attivita' consistente nell'esercizio di trasferimento di fondi (c.d. money transfer) senza previa iscrizione negli elenchi istituiti presso le autorita' di controllo, ovvero la medesima attivita', come pure i soggetti ad essa abilitati, sarebbero stati individuati nella normativa attuativa attraverso il rimando improprio a fonti normative secondarie, quali l'art. 4, lett. a), d.m. 6 luglio 1994; lamentato eccesso di delega in relazione agli artt. 76 e 77 Cost. ed ai criteri di cui all'art. 15, comma 1, lett. c), legge n. 52/1996, laddove la norma impugnata prevede l'estensione delle disposizioni di cui d.l. 3 maggio 1991 n. 143, conv. in legge 5 luglio 1991, n. 197, disposizioni che tuttavia prevedono esclusivamente reati di natura contravvenzionale, mentre l'art. 5, comma 3 legge cit. che si assume incostituzionale configura una fattispecie di delitto, punibile con la sanzione congiunta di reclusione e multa. Sentito il parere del p.m. che ha concluso come da verbale. O s s e r v a Il procedimento e' al suo inizio e non e' stata espletata attivita' istruttoria di sorta, pertanto il giudicante, al fine di valutare la rilevanza nel caso concreto delle doglianze difensive, non potra' che limitarsi a tener conto della prospettazione accusatoria di per se stessa, in proposito osservando come la sintetica qualificazione di «abusivita» riportata in epigrafe con riferimento all'attivita' asseritamente svolta dagli imputati, pur se non esplicitamente indicato nell'imputazione, tuttavia non puo' che riferirsi al fatto che i soggetti agenti non siano iscritti, come viceversa esplicitamente previsto dall'art. 5, comma 3, nell'elenco di cui al comma 2 dello stesso art. 5. Pare indispensabile prendere le mosse, per esaminare le questioni proposte dagli imputati, da una organica esposizione della fin troppo complessa normativa di riferimento in materia, che consta di: direttiva 10 giugno 1991 n. 91/308/CEE (successivamente abrogata dall'art. 44 della direttiva del Parlamento e del Consiglio europeo n. 60 del 20 ottobre 2005) che prevedeva forme di prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita' illecite; legge delega 6 febbraio 1996, n. 52, recante disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee, il cui art. 15, comma 1, lett. c) disponeva di estendere, ai sensi della citata direttiva CEE «in tutto od in parte l'applicazione delle disposizioni di cui al decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, a quelle attivita' particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio ... La formazione o l'integrazione dell'elenco di tali attivita' e categorie di imprese ... avverra' con uno o piu' decreti legislativi»; al comma 2 detta norma prevedeva, inoltre, che in relazione alle materie concernenti il «trasferimento di denaro contante e di titoli al portatore, nonche' il riciclaggio dei capitali di provenienza illecita, potra' procedersi al riordino delle sanzioni amministrative e penali previste nelle leggi richiamate al comma 1, nei limiti massimi ivi contemplati»; decreto legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con mod., in legge 5 luglio 1991, n. 197, relativo a «Provvedimenti urgenti per limitare l'uso del contante e dei titoli al portatore nelle transazioni e prevenire l'utilizzazione del sistema finanziario a scopo di riciclaggio», sanziona dette attivita', appunto, qualora siano esercitate in assenza della preventiva iscrizione agli elenchi disposti dagli organi di controllo; esso, tuttavia, al tempo della legge-delega prevedeva solo illeciti penali di natura contravvenzionale essendo stato nel frattempo abrogato (in forza dell'art. 161 d.lgs. n. 385/1993) l'art. 6, comma 9, contenente l'unica ipotesi di delitto sanzionato con reclusione e multa: onde il legislatore delegante, all'epoca dell'emanazione della legge-delega n. 52/1996, non poteva certo riferirsi ad una disposizione non piu' in vigore; art. 5, comma 3, decreto legislativo n. 153/1997 emanato, appunto, in attuazione della legge-delega: punisce con reclusione da 6 mesi a 4 anni e multa da Euro 2.065 a Euro 10.329 chiunque esercita, senza essere iscritto nell'elenco di cui al comma 2 («e' istituito un elenco di operatori, suddiviso per categorie, tenuto dal Ministro del tesoro ...»), le attivita' individuate nei decreti legislativi emanati ai sensi dell'art. 15, comma 1, lett. c), legge n. 152/1996; art. 1, decreto legislativo 25 settembre 1999, n. 374 («Estensione delle disposizioni in materia di riciclaggio dei capitali di provenienza illecita ed attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio, a norma dell'art. 15 della legge 6 febbraio 1996, n. 52»): e' la normativa che correttamente va ritenuta come quella di individuazione delle attivita' illecite suddette; esso dispone, infatti, l'applicazione del decreto legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197, tra le altre, alle attivita' di «agenzia in attivita' finanziaria prevista dall'art. 106 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (T.U. bancario)»; detta norma a sua volta definisce il concetto di agenzia in attivita' finanziaria come quelle attivita' esercitate nei confronti del pubblico, consistenti in: a) assunzione di partecipazioni, b) concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma, c) prestazione di servizi di pagamento e di intermediazione in cambi. A sua volta, ad ulteriore specificazione dei contenuti concreti di questa attivita', soccorre l'art. 1, lett. a), d.m. 6 luglio 1994: questa disposizione, appunto ai sensi dell'art. 106, comma 1 e 4 d.lgs. n. 385/1993 cit., verte sulla determinazione concreta del contenuto delle attivita' suddette e su quali circostanze ne ricorra l'esercizio nei confronti del pubblico ed indica, fra le concrete attuazioni dell'agenzia in attivita' finanziaria, qualora essa si esplichi in forma di servizi di pagamento, proprio l'attivita' di intermediazione finanziaria esercitata mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi ossia l'attivita' di c.d. money transfer, citata nell'epigrafe. Gia' sulla base della esposizione che precede, riguardante la normativa vigente in materia, si puo' rintracciare in nuce la soluzione alle problematiche di costituzionalita' prospettate dalle parti. Invero, in relazione alla prima e piu' semplice delle due eccezioni, non vi e' dubbio alcuno circa il fatto che il legislatore delegante avesse si' imposto di procedere al riordino delle sanzioni amministrative e penali previste nella normativa di riferimento - cioe' decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197 - e tuttavia di far cio' senza eccedere i limiti massimi gia' ivi contemplati e stabiliti come esplicitamente previsto dall'art. 15, comma 2, legge-delega n. 52/1996. Ora, e' un fatto che, all'epoca della emanazione della legge-delega n. 52/1996, la normativa di riferimento - legge n. 197/1991 - contemplasse solo fattispecie di natura contravvenzionale. Infatti, in forza dell'art. 161 del d.lgs. n. 385/1993, dunque fin da epoca assai precedente la legge-delega, era stato integralmente abrogato l'art. 6, comma 9, legge n. 197/1991, contenente l'unica ipotesi nell'ambito di detta normativa di delitto sanzionato con reclusione e multa: onde il legislatore delegante, all'epoca dell'emanazione della legge delega n. 52/1996, non poteva certo riferirsi ad una disposizione non piu' in vigore. Ma in piu' si osservi come, quand'anche si volesse (del tutto forzatamente) ritenere che il legislatore delegante intendesse riferirsi, oltre che alla normativa (legge n. 197/1991) esplicitamente richiamata nell'art. 15, comma 1, lett. c) della legge n. 52/1996, anche all'art. 5, d.l. n. 167/1990, conv. in legge n. 227/1990 (indicata nello stesso comma 1 ma alla lett. d) dell'art. 15 della legge delega), che prevede una seconda ipotesi delittuosa (pur se per le diverse condotte di false indicazioni agli intermediari), non si potrebbe in ogni caso fare a meno di osservare come il legislatore delegato avrebbe comunque ecceduto i limiti sanzionatori prefissati dal delegante, nel prevedere una pena all'art. 5, comma 3 (da 6 mesi a 4 anni di reclusione oltre multa da Euro 2.65 a 10.329) ben superiore a quella stabilita dal citato art. 5, legge n. 227/1990 (da 6 mesi ad un anno di reclusione e multa fra 500 e 5.000 Euro circa). Ne discende, dunque, che l'eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dalle difese in relazione a tale profilo della normativa pare non manifestamente infondata per violazione degli artt. 76 e 77 Cost. Quanto alla rilevanza della medesima questione nel caso concreto, la sua diretta incidenza sulla pena e sul processo, a causa della inconciliabilita' delle diverse disposizioni sanzionatorie aventi differente natura, delittuosa l'una e contravvenzionale l'altra, nonche' estremamente differente gravita', non pare richieda ulteriori commenti. Quanto segue, viceversa, si riferira' alla piu' complessa questione riguardante, da un lato, la disomogeneita' delle fattispecie concrete riportate nella normativa di riferimento ed in quella di attuazione della legge delega; riguardante, dall'altro, l'avere in ultima analisi effettuato il rimando normativo concretamente descrittivo, sulla base del quale individuare i soggetti agenti ed il contenuto delle condotte punite nella fattispecie, ad una fonte di natura regolamentare, dunque di rango inferiore. In proposito, quanto al primo punto, si deve innanzitutto osservare come, in realta', non sia ravvisabile disomogeneita' alcuna fra la normativa di riferimento - cioe' decreto-legge 3 maggio 1991, n. 143, convertito con modificazioni dalla legge 5 luglio 1991, n. 197 - e la normativa attuativa della delega - cioe' l'art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997 - posto che, attraverso i rimandi normativi che si sono analiticamente illustrati in precedenza, risulta chiaramente come detta disposizione punisca tutta una serie di attivita' finanziarie particolarmente suscettibili di utilizzazione a fini di riciclaggio e dunque a rischio di infiltrazione di organizzazioni criminose e terroristiche, che sono esattamente quelle cui gia' si occupava la normativa di riferimento, d.l. n. 143/1991, conv. in legge n. 197/1991, e fra le quali certamente, come si e' visto, vi e' anche quel tipo di agenzia in attivita' finanziaria consistente nell'effettuare servizi di pagamento mediate intermediazione finanziaria esercitata attraverso l'incasso ed il trasferimento di fondi ossia l'attivita' di c.d. money transfer, che e' esattamente la condotta illecita descritta nell'epigrafe del procedimento penale in oggetto. In secondo luogo, quanto alla individuazione dei soggetti agenti, va precisato come il reato in oggetto sia un reato proprio, posto che autori del medesimo non potranno che essere esclusivamente coloro che esercitino le attivita' finanziarie, individuate in base ai rimandi normativi di cui sopra, senza essere iscritti nell'elenco di cui al comma 2 dell'art. 5, decreto legislativo n. 153/1997, norma che recita: «... e' istituito un elenco di operatori, suddiviso per categorie, tenuto dal Ministro del tesoro, che si avvale dell'Ufficio italiano dei cambi. Ove l'esercizio delle predette attivita' sia subordinato all'iscrizione nei ruoli o albi tenuti da pubbliche autorita', da ordini o consigli professionali, tali ruoli o albi sostituiscono l'elenco di cui sopra tenuto dal Ministro del tesoro». Va precisato come lo stesso d.lgs. n. 374/1999, all'art. 3, riserva l'esercizio professionale nei confronti del pubblico del servizio di agenzia in attivita' finanziaria (di cui, si rammenti, attraverso il rimando all'art. 106, comma 1 e 4, d.lgs. n. 385/1993, fa parte anche l'attivita' di c.d. money transfer) a soggetti appunto professionali, che cioe' siano iscritti in un apposito elenco dell'U.I.C. iscrizione prevista solo in presenza di determinate condizioni, esplicitamente elencate dal medesimo art. 3 al comma 3, d.lgs. n. 374/1999. Ora, va osservato come tale art. 3, comma 3 solo in relazione ad alcune particolarita' (specifici requisiti di onorabilita' per le persone fisiche, requisiti patrimoniali e di forma giuridica per le persone giuridiche) faccia rimando a fonti regolamentari, fatto di cui si avvale la difesa onde inferirne la violazione del principio di riserva di legge. Ritiene, viceversa, il giudicante che la doglianza in oggetto sia infondata, tanto quanto risulta identicamente infondata la doglianza di avere demandato alle medesime fonti secondarie l'individuazione degli stessi elementi costitutivi della concreta fattispecie penalmente rilevante. Invero, si deve in primo luogo osservare come, in generale, sia chiaro che detta norma abbia inteso restringere l'accesso a determinate attivita' finanziarie, stabilendo che, proprio a causa della loro particolare suscettibilita' ad essere utilizzate a fini di riciclaggio e finanziamento di attivita' mafiose e del terrorismo, esse potessero risultare accessibili esclusivamente a soggetti professionali, particolarmente qualificati, prontamente individuabili e piu' facilmente controllabili, grazie alla loro previa collocazione in appositi elenchi od albi, e grazie a cio' anche dotati di una congerie prestabilita di requisiti personali e tecnici desiderabili. Ne discende, tra l'altro, pure che la particolare osticita' della materia e' dovuta, oltre che alla complessita' degli strumenti finanziari che agiscono sui mercati globali, anche al fatto di essere essa materia ideata per e destinata a tecnici professionisti del ramo: di modo che la lamentata «difficolta» di risalire ai rimandi normativi ed interpretare i medesimi, non e' argomento che puo' essere agitato in favore della incostituzionalita' della norma. In secondo luogo, va detto che l'avere semplicemente demandato parte (piccola parte, per vero) del concreto iter amministrativo abilitativo all'esercizio di dette attivita' a fonti regolamentari, non pare affatto avere determinato un rimando integrativo del precetto penale a norma di rango inferiore: nessuno si sognerebbe di definire incostituzionali le norme, ad esempio, in materia di abusivo esercizio della professione, sol perche' la definizione e qualificazione degli abilitati alla categoria professionale interessata o le loro modalita' accesso alla professione siano stabilite da norme regolamentari. Quanto all'ulteriore lamentato rimando, sempre a norme regolamentari, dunque in violazione della riserva di legge penale, effettuato per tramite dell'art. 1, decreto legislativo n. 25 settembre 1999, n. 374, all'art. 106, commi 1 e 4, d.lgs. n. 385/1993 e da questi all'art. 1, lett. a), d.m. 6 luglio 1994, al fine della individuazione concreta delle attivita' finanziarie di cui si proibisce l'esercizio abusivo, in proposito si osservi come (con argomentazione tratta dalla recentissima ordinanza in data 30 marzo 2007 remissiva alla Corte di analoghe questioni di illegittimita' costituzionale, emessa dal Tribunale di Cagliari, I sez. penale) il dato temporale, ovvero la preesistenza della disposizione regolamentare alla disciplina introdotta dai decreti legislativi n. 153/1997 e n. 374/1999, pare presentare una valenza davvero decisiva. Invero posto che, al momento dell'emanazione dei due decreti legislativi, il d.m. 6 luglio 1994 - richiamato secondo la tecnica legislativa sopra indicata - era gia' esistente, ne discende come sia stato quindi lo stesso legislatore ordinario a prevedere, nella figura di illecito introdotta nel combinato disposto dei due decreti legislativi (l'uno, n. 153/1999, che introduce la norma sanzionatoria addebitata agli imputati; l'altro, n. 374/1999, che dispone l'applicazione della normativa di riferimento, fra le altre, all'attivita' in oggetto), l'esercizio di intermediazione finanziaria mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi, individuandolo come una di quelle attivita' potenzialmente soggette ad infiltrazioni malavitose e agevolatrici di manovre di riciclaggio. Si vuole, cioe', affermare che il legislatore ordinario non ha rimesso alla fonte regolamentare di rango inferiore il compito di individuare le attivita' finanziarie illecite, ma esattamente al contrario, preso atto della preesistenza nelle norme dell'ordinamento di detta attivita', insieme ad altre, ne ha recepito l'indicazione nel precetto penale e nella sanzione che colpisce chi tali attivita' esercita senza previa iscrizione nel prescritto elenco, con cio' elevandola al rango di normativa primaria. Ne deriva la manifesta infondatezza delle relative questioni, cosi' come prospettate dalle difese. Invero, il recepimento da parte della fonte normativa primaria di indicazioni contenute nella fonte subordinata, non viola il principio della riserva di legge penale di cui all'art. 25, secondo comma Cost., qualora - come stabilito dalla costante giurisprudenza della Corte stessa - i rapporti fra la legge penale e la fonte subordinata siano atteggiati in modo tale che, in concreto e da un punto di vista fattuale, la norma che cosi' ne scaturisca comunque consenta una sufficiente specificazione del fatto-reato cui e' riferita la sanzione penale. Nel caso in oggetto, come gia' osservato in precedenza, trattandosi di normativa che statuisce in materia eminentemente tecnica e complessa, la mera lamentata estrema complessita' della tecnica normativa prescelta e del corrispondente sforzo intellettivo necessario ad interpretarla non sembrano altro che argomentazioni del tutto meta-giuridiche, che non possono certo di per se stesse valere a stabilire se sia o meno rispettato il livello di specificazione e tipizzazione del fatto reato richiesto, da sempre, dalla stessa Corte. Ritiene infatti questo Tribunale che, nel caso prospettato dalle difese nel presente giudizio, la ratio garantista del principio della riserva di legge risulti sufficientemente soddisfatta, posto che appare comunque possibile distinguere, nel caso in oggetto, fra la sfera del lecito e quella dell'illecito e conseguentemente rinvenire un precetto normativo in grado di orientare la condotta dei consociati: cio' grazie al recepimento della indicazione e dell'inserimento, fra le attivita' a rischio di riciclaggio e di infiltrazioni da parte della criminalita' organizzata, anche di quella particolare forma di agenzia in attivita' finanziaria consistente nei servizi di pagamento effettuati mediante l'incasso ed il trasferimento di fondi, il cui abusivo esercizio, da parte di soggetti non iscritti agli elenchi di cui all'art. 3, d.lgs. n. 374/1999, risulta sanzionato ex art. 5, comma 3, d.lgs. n. 153/1997.